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lunedì 20 febbraio 2012

2011: odissea «grazie» all'INPS

Dal sito: www.superando.it

Da una parte le dichiarazioni soddisfatte del Presidente dell'INPS - sempre però basate su dati non veritieri od omissioni -, per il grande lavoro di controllo dell'Istituto sulle invalidità civili; dall'altra il destino di centinaia di migliaia di famiglie italiane, che in questi due anni hanno vissuto con ansia, con angoscia, lo stillicidio dei controlli, delle sospensioni delle pensioni e delle indennità, della richiesta arcigna e continua di montagne di certificazioni cartacee, di documenti vecchi e nuovi, di visite anche per persone che a meno di un miracolo non potranno mai riacquistare la mobilità, la vista, o l'udito o le capacità intellettive. E la (bruttissima) storia che oggi raccontiamo ne è uno dei tanti esempi concreti. Non il primo né l'ultimo, purtroppo
«Sullo sfondo delle dichiarazioni del Presidente dell'INPS - che sull'invalidità continua a citare dati non veritieri o a ometterne altri, entrando addirittura "a gamba tesa" nel merito delle diagnosi mediche - resta il destino di centinaia di migliaia di famiglie italiane, che in questi due anni hanno vissuto con ansia, con angoscia, lo stillicidio dei controlli, delle sospensioni delle pensioni e delle indennità, della richiesta arcigna e continua di montagne di certificazioni cartacee, di documenti vecchi e nuovi, di visite anche per persone che a meno di un miracolo non potranno mai riacquistare la mobilità, la vista, o l'udito o le capacità intellettive»: lo ha scritto in questi giorni sulle nostre pagine Franco Bomprezzi (se ne legga cliccando qui) e la (bruttissima) storia che oggi raccontiamo, riguardante Andrea Tron e la sua famiglia, ne è uno dei tanti esempi concreti. Non il primo né l'ultimo, purtroppo. (S.B.)

Il 2011 è stato un anno davvero difficile per noi famiglie con disabilità. In nome del risparmio e dei tagli, abbiamo dovuto - nostro malgrado - diventare protagonisti di lotte "giornaliere" contro le Istituzioni, per garantire i diritti (!) dei nostri figli.
Noi, per esempio, abbiamo dovuto lottare con la scuola, per le ore di sostegno e il dovere all'inclusione e con il Comune, per le strisce pedonali davanti a casa. Abbiamo poi dovuto "giustificarci" con l'ASL, per visite-soggiorni specialistici, per la richiesta della sedia a rotelle e per i pannolini, ma soprattutto abbiamo dovuto essere letteralmente "processati e umiliati" per i controlli dell'INPS, ai fini del rinnovo dell'accompagnamento.
Ognuna di queste "lotte" - condita da carichi enormi di burocrazie, spesso inutili - ci ha costretto a spendere tutte le nostre energie a star dietro a tutto ciò, invece di provare a crescere il nostro bimbo speciale e la sua bravissima sorellina. Potrei davvero scrivere un libro su ogni punto di cui sopra, ma per questa volta preferisco cominciare dalla fine, ovvero dall'INPS.

Sono il papà di un bimbo nato prematuro, che all'età di un mese e mezzo ha avuto un'encefalite. In conseguenza di tutto ciò, Samuele, che oggi ha 6 anni, non parla, non cammina da solo, ha un grave ritardo intellettivo e - come avrei detto fino a qualche settimana fa - non vede... Voglio precisare sin d'ora, infatti (e presto si capirà il perché), che se mi posiziono a due centimetri da Samuele, senza parlare e in qualsiasi posizione, lui non si accorge di me, mentre se parlo o soffio, mi cerca a tentoni.
Qualche mese fa, dunque, ho ricevuto una richiesta di visita dall'INPS di Collegno (Torino), per il controllo della cecità totale di Samuele. Piuttosto seccato, ho risposto all'INPS che mio figlio rientrava in almeno tre delle sei-sette categorie di persone esentate dal controllo, ma non avendo nulla da nascondere, ho allegato al fax diciannove pagine di documentazione medica effettuata dall'ultimo controllo.
Il giorno dopo una gentilissima operatrice dell'INPS mi ha telefonato per spiegarmi che in effetti avevo ragione, ma che utilizzavano queste visite per anticipare la revisione, comunque prevista per il mese di febbraio del 2012, in modo da evitare «blocchi dell'accompagnamento dovuti a ritardi dell'Istituto». Mi ha detto inoltre che vista la corposa documentazione, avrebbe fatto vedere il tutto a una commissione medica e forse avremmo evitato la visita.
Qualche giorno dopo mi ha chiamato, per confermarmi che era tutto a posto, che non serviva la presenza nostra e del bimbo alla visita e che avremmo ricevuto a casa la conferma di rinnovo dell'accompagnamento.
Ero senza parole: gentilezza, efficienza... Un sospiro di sollievo! Quasi non ci credevo... E facevo bene, perché "l'incubo" stava solo per iniziare!

Dopo alcune settimane, infatti, non ricevendo nulla, ho cominciato a insospettirmi, e ho provato a contattare al telefono l'INPS di Collegno (per andarci di persona da Pinerolo, dove risiedo, è un viaggio di almeno un ora). Nulla, irrintracciabili. Mando allora un fax, chiedendo di confermarmi che fosse tutto a posto, come concordato al telefono. Per due-tre giorni nulla. Poi, improvvisamente, ricevo un SMS: «INPS INFORMA: URGENTE! DEFINIZIONE SU ATTI REVISIONE SIG. TRON SAMUELE  BLOCCATA DA CSM, NECESSITA VISITA IL 02-12 DARE CONFERMA VIA FAX».
Rimango sbigottito. Ma come? Tutto il contrario di ciò che mi avevano detto. E poi via SMS, senza alcuna spiegazione... Mi sento umiliato, e siccome il 2 dicembre dovrò essere ad Ancona per un soggiorno riabilitativo presso la
Lega del Filo D'Oro, mi precipito a Collegno per avere spiegazioni e spostare la visita.
Mi spiegano che siccome Samuele è un minore, la visita va fatta comunque e che possiamo anticiparla al 25 novembre. «La convocazione è alle 9 - precisano -, ma siccome chiamiamo altre quaranta persone e lei ha un bimbo, venga alle 12.45»!Ringrazio, ma rimango perplesso. Siamo disabili o animali?...

Il 25 novembre, dunque, mi presento a Collegno alle 11.35, con Samuele e mia moglie Roberta. Aspettiamo un'ora! Samuele non ce la fa più. Poi entriamo, convinti che, viste le premesse, sarà una formalità.
Tre sono i componenti della Commissione, ma a presiederla è la dottoressa Trinchillo. Prende in mano il mio fax ed è evidente che lo vede per la prima volta. Non solo, ma essendo corposo, avevo diviso e numerato tutte le pagine per ogni tipo di documento, senza però che i fogli fossero stati cuciti, cosicché la dottoressa comincia a confonderli, fino a dire: «Non ci capisco nulla... Mi dia gli originali».
Sempre più perplesso, le porgo una alla volta la mia copia dei documenti, che tra l'altro comincia a confondere con i suoi. Samuele, intanto, si agita, e perciò chiedo se lo visitano subito o se posso dargli la musica che lo calma un po', quando è in posti nuovi con voci sconosciute. Nessuna risposta! Dopo un po' gli do la musica...
A questo punto comincia un "siparietto" in cui la dottoressa cerca di capire dal computer perché siamo a quella visita. Infatti,  non solo non aveva mai visto i documenti spediti un mese prima, ma manco sapeva perché eravamo lì.

Sempre più perplesso, le spiego che siamo li per la cecità totale. Guarda la documentazione e noi li a guardarla... Dopo un po' si accorge che nella relazione dell'Istituto Neurologico Mondino di Pavia del febbraio 2011 (sei pagine), manca la refertazione dell'esame dei PEV [Potenziali Evocati Visivi, N.d.R.] e me ne chiede giustificazione (nella relazione c'era scritto "in corso di refertazione"). Le spiego che non me n'ero accorto e le sottolineo che ci sono però i PEV del 2007 e del 2009. La dottoressa si impunta e in pratica allude al fatto che «stiamo nascondendo i PEV del 2011 perché vogliamo fregare lo stato!». Sono letteralmente basito e senza parole.
Uno dei tre componenti della commissione si alza e dopo una discussione, dichiara testualmente: «Con questa non si può lavorare, figuriamoci se i PEV del 2009 non bastano... Io me ne vado!» e abbandona definitivamente la commissione! Mi sembra di vivere un incubo o forse siamo su Scherzi a parte!
Comincio a innervosirmi e chiedo alla dottoressa come sia possibile che dopo un mese che ho consegnato la documentazione, dopo che mi hanno detto che addirittura non serviva la visita, adesso mi contestano i documenti! Bastava una telefonata all'Istituto Mondino e in due ore avrei avuto il referto...
L'ambiente è pesante, io sono esterrefatto e la dottoressa - con tono sempre più accusatorio - si rivolge a me dicendo: «E poi con una patologia come quella di Samuele [una lesione celebrale, N.d.A.] potrebbe non vedere per un blocco psicologico». Vedo tutto nero! Comincio a urlare e dopo poco esco per non ribaltare scrivania e dottoressa... Ma perché devo essere
umiliato così!?Mentre sono fuori a smaltire, mia moglie cerca di capire cosa dobbiamo fare. In pratica dovremo fare un'ulteriore visita da un medico legale oculista, cosicché la dottoressa - su un angolo strappato di un foglio (quello qui a fianco riportato...) - ci scrive dove andare e cosa portare alla prossima visita.
Mia moglie chiede alla dottoressa il nome, non avendo lei il cartellino. Ci risponde che ce lo dà, aggiungendo però: «Non cercate di contattarmi!». Anche Roberta raggiunge il limite e urla... si sente davvero umiliata!
Rientro. Faccio notare che è ormai da un'ora che siamo li, che abbiamo solo guardato i documenti e che mi hanno contestato dati che avevano da almeno un mese e che avrei potuto risolvere la situazione in un giorno. E soprattutto che nessuno aveva e avrà intenzione di visitare Samuele. Ebbene, la dottoressa riesce ancora a dire che non ha voluto «disturbare Samuele perché soffriva»! Davvero è troppo... Mi sento distrutto, umiliato, trattato come un disonesto e anche un po' stupido, perché poi, per giorni, non ho più dormito, sentendomi in colpa per avere alzato la voce...

Per fortuna il giorno dopo partiamo per le Marche, dove - come accennavo - avevamo pianificato una settimana di riabilitazione presso la Lega del Filo d'Oro. A quest'ultima organizzazione chiediamo una consulenza, per capire se stiamo sbagliando, se quel residuo di percezione della luce che Samuele ha in determinati contesti favorevoli (al buio) e solo in alto a destra e a sinistra, per brevissimi periodi, possa incidere sulla definizione di cieco totale. Non hanno dubbi: «Cieco totale».
Ancora, per sicurezza, una volta tornato in Piemonte, grazie all'Unione Italiana Ciechi, mi avvalgo della consulenza gratuita di un medico legale che visti i documenti, ribadisce: «Samuele è cieco totale». Mi convince anche che non è il caso che alla prossima visita ci accompagni, perché i documenti sono esaustivi.
Ci presentiamo quindi all'INPS di Torino, con i documenti precedentemente mancanti e con un altro rilasciato dalla Lega del Filo d'Oro.
Anche qui però - anche se questa volta il dottore è gentilissimo - cominciano a contestarci il fatto che Samuele «potrebbe essere cieco parziale». Non capisco perché fuori dall'INPS tutti mi dicono che non ci sono dubbi, mentre qui
mettono sempre tutto in discussione...Il discorso che mi viene fatto si può riassumere così: «Samuele non è collaborativo: se gli metto tre dita davanti agli occhi e gli chiedo quante sono, non risponde» (ci credo, non parla...); «Siccome non e collaborativo io [dottore] non so giudicare se non vede e quindi non posso dire che non vede»; infine, «Samuele e così grave che non vede perché ha altri problemi, ma non perché non vede»...
Sono a dir poco senza parole. Ma perché l'INPS, se ha dubbi su Samuele, non lo fa vedere da un centro specializzato per pluridisabilità? Sono io che devo "giustificarmi" per il fatto che non parla?!
Vedo tutto nero… un'altra volta, anche se la cortesia del medico fa sì che non perda il controllo. Mi sento però di nuovo trasportato in un incubo. Non capisco, siamo venuti qui apposta per far visitare Samuele e di nuovo mi dicono che non sono in grado di farlo? Chiedo allora che cosa succederà e il medico mi dice che non lo sa (!?), che decideranno a Roma (!?) e che ci vorranno mesi (!?).
Mi sento letteralmente preso in giro! Ma com'è possibile che ci vogliano mesi per decidere? O è cieco o ci vede! O servono altri esami - e allora facciamoli - oppure cosa c'è da decidere? E cosa c'entra Roma? Perché il medico non si prende le sue responsabilità e ci dice chiaramente dove sono i dubbi e come pensa di risolverli?La netta impressione, per altro, è che le cose non vengano dette per evitare che ci si possa difendere.
Ci congedano quindi senza risposte, dicendoci di «aspettate tranquilli e di passare un Buon Natale»...

Vengo allora a sapere per vie traverse - il medico legale cui avevo chiesto consulenza aveva incontrato a un seminario quello dell'INPS dell'ultima visita - che su un documento del 2009 forse si fa riferimento a un parametro che parrebbe dire che Samuele ha un residuo di un ventesimo (quindi una visione parziale).
Ma perché non mi è stato detto durante la visita?Verifico e in effetti il parametro c'è, anche se "smentito" dalle visite successive del 2011 e persino dalla stessa relazione del 2009, che se letta nella sua interezza, mette in evidenza come Samuele non riconosca un oggetto - né suo padre! -neanche a pochi centimetri di distanza.
Ora, quindi, aspettiamo. Presumibilmente ci sospenderanno l'accompagnamento in attesa del verdetto e poi forse dovremo fare ricorso.
Credo che certamente, con un minimo di organizzazione e sensibilità, si potessero evitare due visite assolutamente inutili, un sacco di stress e tempo perso; chiedendo ad esempio telefonicamente di aggiungere la documentazione mancante e di integrare il tutto con eventuali visite che dipanassero ogni dubbio, magari che dimostrassero proprio la visione parziale (MAGARI!). Ma era forse troppo semplice ed economico per tutti noi.
Invece, si preferisce essere fumosi, far perdere un sacco di tempo, far pagare a tutti visite inutili, far perdere energie e magari "stroncare" le famiglie che preferiscono lasciare le cose così, per evitare di dover lottare. E questo - guarda caso - assomiglia molto all'atteggiamento delle scuole sulle ore di sostegno: «Io, scuola, le dimezzo, se poi la famiglia "rompe" o fa ricorso le rimetto... e così, in barba alla legge che prevede un determinato numero di ore, io, scuola, intanto le tolgo e saranno in tanti ad accettare il taglio, cosicché farò un bel risparmio».

Posso assicurare infine che la mia storia non è affatto eccezionale e anzi noi stessi, sui punti elencati all'inizio, potremmo raccontarne molte di simili.
Credo in questo senso di avere dedicato il 70% del tempo che avevo pianificato nel 2011 per Samuele a lottare contro burocrazie e ingiustizie, invece di stare con lui. No, davvero non credo che siamo sulla strada giusta per salvare l’Italia!

venerdì 17 febbraio 2012

L'INPS, ecco chi decide davvero la sorte dei disabili in Italia!

 
Sullo sfondo, però, delle dichiarazioni del Presidente dell'INPS - che sull'invalidità continua a citare dati non veritieri o a ometterne altri, entrando addirittura "a gamba tesa" nel merito delle diagnosi mediche - resta il destino di centinaia di migliaia di famiglie italiane, che in questi due anni hanno vissuto con ansia, con angoscia, lo stillicidio dei controlli, delle sospensioni delle pensioni e delle indennità, della richiesta arcigna e continua di montagne di certificazioni cartacee, di documenti vecchi e nuovi, di visite anche per persone che a meno di un miracolo non potranno mai riacquistare la mobilità, la vista, o l'udito o le capacità intellettive

Le nuove esternazioni di Antonio Mastrapasqua, rilasciate il 15 febbraio al «Corriere della Sera» [se ne legga cliccando qui, N.d.R.] mi hanno colpito come una folgorazione: ecco chi decide davvero, in Italia, sulla sorte delle persone con disabilità! Non il Parlamento, non i partiti, non il Governo, non il Ministro del Welfare o almeno quello della Salute. No, decide l'INPS, l'Istituto chiamato dal Paese a tradurre in denaro sonante e immediato il concetto di riduzione della spesa sociale. Mastrapasqua, infatti, parla con una decisione assai maggiore di Maria Cecilia Guerra, sottosegretario al Welfare, o perfino del ministro Elsa Fornero durante il recente incontro con la FISH (Federazione Italiana per il Superamento dell'Handicap) e con la FAND (Federazione tra le Associazioni Nazionali delle Persone con Disabilità), le principali organizzazioni di tutela delle persone con disabilità [se ne legga cliccando rispettivamente qui e qui, in un contributo del settimanale «Vita» e nel nostro stesso sito, N.d.R.].

«Alle associazioni e ai singoli cittadini che lamentano criteri troppo rigidi da parte dei medici INPS», Mastrapasqua replica niente meno che «è giusto fare questi controlli in modo da poter concentrare le poche risorse a disposizione su chi ne ha davvero bisogno. Non dimentichiamo che si parla di appena 267 euro al mese per i pensionati d'invalidità, oltretutto subordinati a bassi requisiti di reddito, e di 492 euro al mese per l'indennità di accompagnamento».
Il compito dell'INPS è di fornire prestazioni previdenziali a chi ne ha diritto. Il bisogno è un concetto completamente diverso. Se cominciamo a parlare apertamente di "bisogni" invece che di "diritti", usciamo clamorosamente da un sentiero tracciato faticosamente negli anni, in maniera totalmente condivisa dalle forze parlamentari italiane. Mastrapasqua è o dovrebbe essere un esecutore, non un plenipotenziario.

Altra affermazione di enorme gravità: «Per carità, non mi sognerei di togliere alcun beneficio a chi ne ha diritto - dice Mastrapasqua a Marro del "Corriere della sera" - ma osservo che tra il 34% e il 73% il più delle volte l'invalidità viene concessa senza neppure una visita dell'Asl, ma dietro semplice presentazione di documentazione sanitaria. Ecco credo che tutte le prestazioni vadano razionalizzate e le risorse concentrate secondo i bisogni. In alcuni Paesi, per esempio, le prestazioni non sono in cifra fissa ma variano in base alle patologie e accanto alle prestazioni economiche sono garantiti anche i servizi alla persona».
Ecco il Mastrapasqua legislatore, come confermano le circolari interne, neppure pubblicate sul sito dell'INPS, come ha notato acutamente Carlo Giacobini sulle pagine di Superando: «Quanto alle variazioni di percentuale di invalidità riscontrate, esse sono anche attribuibili ai criteri che l'INPS ha - in piena libertà - adottato per le valutazioni dell'invalidità. L'Istituto, infatti, con la Comunicazione del 20 settembre 2010 (interna e non diffusa nel sito ufficiale), inviata dal Direttore Generale ai tutti i Dirigenti regionali INPS, aveva emanato le
Linee Guida operative in invalidità civile che avevano fornito anche indicazioni relative ai requisiti sanitari per la concessione dell'indennità di accompagnamento, più restrittive rispetto a quanto stabilito dal Legislatore. Con un atto amministrativo interno dell'Istituto si era dunque superata una norma dello Stato, senza che nessuno avesse avuto nulla da ridire. In pratica si è cambiata la "taratura della bilancia" con la quale erano state pesate in precedenza le persone, scoprendo - guarda un po' - un calo ponderale» [il testo integrale è disponibile cliccando qui, N.d.R.].

Ma il Presidente dell'INPS fa anche di più. Riporto un passo decisivo del pezzo del «Corriere della Sera»: «Il risparmio previsto sulle 34.752 revoche già decise può essere stimato in 180 milioni di euro, dice l'Inps. Una goccia rispetto ai circa 16 miliardi di euro di spesa complessiva annua per quasi 3 milioni di invalidi civili, ma l'importante, dice il presidente dell’Inps Antonio Mastrapasqua, è che si migliori di anno in anno il funzionamento di un sistema che fino a pochi anni fa era abbandonato a se stesso, senza alcun freno agli sprechi. "Voglio subito dire che qui non stiamo parlando di falsi invalidi, cioè di persone che hanno truffato lo Stato. Ma di controlli sanitari sull'evoluzione di patologie che possono migliorare in seguito, riducendo così il grado di invalidità e le prestazioni connesse"».
Evoluzione di patologie che possono migliorare in seguito? Ma Mastrapasqua a questo punto pensa di poter entrare nel merito delle certificazioni mediche, della diagnosi, ben sapendo che il suo punto di vista è quello di chi poi dovrà erogare dei soldi e delle prestazioni? Che fiducia potrà mai avere il Cittadino nel momento in cui a giudicare del suo stato di salute è chiamato l'Ente che farà di tutto per riconoscergli la cifra minore possibile? E infatti il 60% dei ricorsi vede regolarmente l'INPS soccombere, ma questo è un dato che viene signorilmente trascurato.

Sullo sfondo resta il destino di centinaia di migliaia di famiglie italiane, che in questi due anni hanno vissuto con ansia, con angoscia, lo stillicidio dei controlli, delle sospensioni delle pensioni e delle indennità, della richiesta arcigna e continua di montagne di certificazioni cartacee, di documenti vecchi e nuovi, di visite anche per persone che a meno di un miracolo non potranno mai riacquistare la mobilità, la vista, o l'udito o le capacità intellettive. Lo abbiamo testimoniato ovunque, lo sappiamo benissimo. Ma i superpoteri, fino a prova contraria, sono concentrati nelle mani di questo tecnocrate superpagato e presente in decine di Consigli di Amministrazione, a partire da quello di Equitalia, come a suo tempo ha scritto acutamente un altro giornalista del «Corriere della Sera», Sergio Rizzo (cliccare
qui). Che strana coincidenza!

*Direttore responsabile di Superando.it. Il presente articolo riprende, con alcuni adattamenti, un testo apparso anche in «
FrancaMente», il blog senza barriere di Vita.blog, con il titolo I superpoteri dell'INPS.

E il refrain dei falsi invalidi colpisce ancora

Dal sito: www.superando.it
Non sono certo nuove - e il nostro sito le ha puntualmente denunciate - le "sparate" del Presidente dell'INPS a base di dati non veri e smentiti anche dalla Corte dei Conti o dallo stesso Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, sui risultati che l'Istituto avrebbe conseguito in tema di caccia ai "falsi invalidi". Oggi, però, la "sparata" è ancora più grossa e vederla ripresa acriticamente e senza alcuna verifica, da parte di uno dei quotidiani più seguiti e prestigiosi del Paese, suona quanto meno come inquietante. Vediamo il perché, dati e documenti alla mano

Come il virus influenzale che arriva verso fine dicembre, gli annunci strepitosi sui falsi invalidi arrivano a febbraio!Le notizie diffuse lo scorso anno in questa stagione da Antonio Mastrapasqua (presidente dell'INPS e vicepresidente di Equitalia) declamavano infatti gli entusiastici risultati della campagna 2010 di controllo su 100.000 persone: uno su quattro sarebbe stato un falso invalido. Quella dichiarazione era stata presa come oro colato, come spesso accade quanto parla l'INPS. Anzi, c'era chi ne aveva costruito una personale crociata. Uno per tutti, il capogruppo della Lega alla Camera, Marco Reguzzoni, che arrivava a dichiarare, a fine luglio 2011, che grazie ai controlli sui falsi invalidi, si era arrivati a recuperare un miliardo di euro, tagliando 30.000 pensioni.
Ma a parte il Reguzzoni - incappato in un evidente svarione contabile (33.000 euro per ogni falso invalido sono impossibili) - molti altri parlamentari riprendevano il verbo del presidentissimo INPS. Li ritroviamo agli Atti della Camera della seduta del 21 luglio 2011, quando vennero approvati cinque fra Ordini del Giorno e Raccomandazioni, proprio sul tema dei controlli sui "falsi invalidi". Quattro atti su cinque partivano dichiaratamente dalla considerazione acclarata che il 24% delle persone controllate fossero falsi invalidi.

Per fortuna in Italia c'è la Corte dei Conti che fra le altre competenze ha anche quella del controllo sugli Enti, compreso il mega istituto per la previdenza sociale. È così che avendo la pazienza di leggere la relazione approvata dalla stessa Corte dei Conti, con la Determinazione
n. 77 di fine 2011, scopriamo effettivamente quanti sono i falsi invalidi che l'INPS avrebbe pizzicato nel corso del 2010: su un campione di 100.350 persone, non sono state confermate 9.378 prestazioni, cioè meno del 10%. Non, quindi, il 24% dichiarato nel febbraio dello scorso anno.
Prima però che la Corte dei Conti smentisse Mastrapasqua, la bufala dell'"1 su 4" aveva già incominciato a scricchiolare. Su interrogazione scritta, infatti, e reiterata dal deputato Reguzzoni - sì, sempre lui - il Ministro del Lavoro, nell'ottobre del 2011, aveva fornito le informazioni sugli effetti dei controlli: nel 2009 sono state revocate, in seguito a 200.000 controlli, 21.282 prestazioni (pensioni, assegni o indennità). Nel 2010, su circa 100.000 controlli, sono state revocate 9.801 provvidenze economiche.
Anche secondo i dati ministeriali, dunque, la percentuale delle prestazioni revocate sul totale è stata dell'11,6% nel 2009 e del 10% nel 2010 (dati del Ministero del Lavoro, ottobre 2011) e quindi il Ministro in persona smentisce ciò che aveva affermato Mastrapasqua nel febbraio precedente.
«Abbiamo revocato pensioni di invalidità per il 10%, per il 35% abbiamo modificato il giudizio sanitario. Per le revoche siamo in attesa di eventuali contenziosi». Lo dice Nori a fine settembre 2011 durante un convegno promosso dalla Confcommercio abruzzese. Mauro Nori è il direttore generale dell'INPS ed egli ritiene dunque che per le pensioni di invalidità, la quota di "falsi invalidi" sia pari al 4%. Ma come arriva a tale conclusione? Sa bene che, alla fine degli inevitabili ricorsi, l'INPS soccombe in giudizio nel 60% dei casi (Fonte: Relazione sul risultato del controllo eseguito sulla gestione finanziaria dell'Istituto Nazionale della Previdenza Sociale (INPS) per l'esercizio 2009, Corte dei Conti, Determinazione
n. 84/10, p. 104).

E veniamo ad oggi. Niente meno che il «Corriere della Sera», con un articolo di Enrico Marro (lo si può leggere cliccando
qui), riprende pedissequamente le nuove esternazioni del Mastrapasqua e titola a cinque colonne Pensioni di Invalidità, l'ora dei tagli. Scatta la revoca per uno su tre. Bum! Il pezzo acriticamente riprende i "dati" dell'INPS, anche quelli falsati. Ad esempio, Marro afferma che nel 2010 le visite di controllo erano state 55.200, ma dimentica di dire che tra quelle definite agli atti ve n'erano state altre 45.000 (per arrivare alle 100.350 omologate dalla Corte dei Conti e imposte dal Legislatore). Conseguentemente, a Marro risulta che le revoche nel 2010 sono state del 19,2 %... al lordo, cioè, dei ricorsi che l'INPS perderà, ma questo è un particolare che l'articolista tralascia, evidenziando invece la crescita del successo dell'Istituto, che l'anno precedente aveva beccato "solo" l'11% dei controllati. E il successo sarebbe ancora più elevato nell'anno in corso: 28,42% di revoche!
Insomma, Mastrapasqua la spara ancora più grossa dello scorso anno. Ma si affretta a precisare, il Presidente: «Voglio subito dire che qui non stiamo parlando di falsi invalidi, cioè di persone che hanno truffato lo Stato. Ma di controlli sanitari sull'evoluzione di patologie che possono migliorare in seguito, riducendo così il grado di invalidità e le prestazioni connesse». E il giornalista diligentemente riporta, non rilevando una svolta storica:
non esistono più i "falsi invalidi", ma solo "invalidi migliorati"!Come mai Mastrapasqua prudenzialmente precisa...? E come mai questa precisazione viene anche riportata in testa alla tabellona ad effetto del Corriere? Cortesia? Sensibilità? Conoscenza dei casi umani? Niente di tutto questo. Il vero motivo è come è stato costruito il campione dei "controllandi" per il 2011!
Infatti, siccome la percentuale di "successo" dell'INPS (leggasi revoche) era in evidente calo, e l'Istituto deve portare comunque risultati, con il Messaggio
n. 6763 del 16 marzo 2011, fissa, fuori da ogni controllo normativo, alcuni criteri aggiuntivi per allargare il campione dei controllati.
L'INPS individua in tal senso un nuovo, diverso e più ampio bacino di persone che saranno sottoposte a visita: si stabilisce che vengano sottoposti a verifica gli invalidi titolari di provvidenze economiche, il cui certificato di invalidità avrebbe previsto comunque una revisione fra luglio e dicembre del 2011. Insomma, si va a controllare un bacino di potenziali persone su cui sono più probabili le revoche delle provvidenze economiche che avverrebbero comunque nella normale routinaria attività delle ASL, ma che, in questo modo, non sarebbero attribuibili "all'azione dell'INPS".

Quanto alle variazioni di percentuale di invalidità riscontrate, esse sono anche attribuibili ai criteri che l'INPS ha - in piena libertà - adottato per le valutazioni dell'invalidità. L'Istituto, infatti, con la Comunicazione del 20 settembre 2010 (interna e non diffusa nel sito ufficiale), inviata dal Direttore Generale ai tutti i Dirigenti regionali INPS, aveva emanato le
Linee Guida operative in invalidità civile che avevano fornito anche indicazioni relative ai requisiti sanitari per la concessione dell'indennità di accompagnamento, più restrittive rispetto a quanto stabilito dal Legislatore.
Con un atto amministrativo interno dell’Istituto si era dunque superata una norma dello Stato, senza che nessuno avesse avuto nulla da ridire. In pratica si è cambiata la "taratura della bilancia" con la quale erano state pesate in precedenza le persone, scoprendo - guarda un po' - un calo ponderale.
Mastrapasqua sa bene tutto questo e perciò si attarda in quella chiosa. Marro preferisce ignorare, ma la sua umiltà di fronte a cotanta potenza diventa quasi commovente, quando l'INPS dichiara i risparmi: 180 milioni di euro. A quel punto anche un tirocinante in redazione avrebbe chiesto: «180 milioni al netto o al lordo della spesa per i medici, i legali, gli amministrativi?». Una domanda spontanea se si pensa che, solo di medici esterni di rinforzo alle "truppe INPS", si sono spesi nel 2010 10 milioni di euro (la fonte è sempre la Corte dei Conti).
Con altrettanta nonchalance, poi, si lasciano correre affermazioni false, quali: «Osservo che tra il 34% e il 73% il più delle volte l'invalidità viene concessa senza neppure una visita dell'ASL, ma dietro semplice presentazione di documentazione sanitaria». Il che, naturalmente, non corrisponde al vero, ma annotarlo comporterebbe dover ammettere l'evidenza e cioè che l'INPS ha dati solo relativi agli invalidi che percepiscono assegni, indennità e pensioni, mentre degli altri non ne sa assolutamente nulla.

A che servirà dunque questa azione di "informazione"? Il titolo forse ci suggerisce qualcosa - Pensioni di Invalidità, l'ora dei tagli -: se ci si sofferma infatti alla prima riga, sembra un obiettivo da raggiungere e giustificare, al di là dei dati, dei fatti e delle circostanze. E il fatto che questo pezzo appaia su uno dei quotidiani più seguiti e prestigiosi del Paese è assai inquietante. O forse - leggendo in modo ancor più malizioso le dichiarazioni "dettate" a Marro - il presidente dell'INPS vuole far sapere al presidente del Consiglio Monti quanto sia efficace l'INPS in materia di invalidità e di come le cose potrebbero funzionare meglio se il Governo affidasse ulteriori funzioni all'Istituto, togliendole alle Regioni. Una potenziale concentrazione anche questa assai inquietante.

mercoledì 15 febbraio 2012

Disabilità e lavoro: bisogna cambiare anche l'approccio culturale

dal sito: www.superando.it

Disabilità e lavoro è un binomio che continua a trovare enormi difficoltà a decollare, anche se in tempi più recenti, diverse iniziative e alcuni imprenditori hanno scoperto nel collocamento delle persone con disabilità una ragione di vita e uno strumento per fare affari senza tralasciare il lato umano. «Anche perché se è vero che con la crisi le aziende assumono solo potenziali talenti - scrive Simone Fanti -, non è detto che non ce ne siano tra i portatori di handicap»
Diverso da chi? Un disabile prova stimoli, sensazioni e sentimenti, forse in alcuni casi più semplici, ma non meno profondi. Un disabile ha pensieri, forse segue logiche proprie nei ragionamenti, ma pensa e riflette. Un portatore di handicap vuole realizzarsi nel lavoro esattamente come qualsiasi donna e uomo.
Diverso da chi, quindi? Da standard o stereotipi, da persone codificate dalla società, ingessate dentro armature troppo strette, fatte di regole e usi sociali. Oppure simile a qualunque uomo e donna che vuole amare, lavorare, trascorrere momenti di felicità e svago con gli amici, che vuole realizzarsi nella vita, sentirsi importante, essere un aiuto alla società o semplicemente non essere considerato un peso. L'invito ad abbandonare le logiche delle diversità, quella che esclude non quella che ci rende unici, arriva proprio dal mondo del lavoro.

«Cominciamo a non parlare di diversità, ma di persone», attacca deciso Giuliano Calza, direttore Formazione, Sviluppo e Comunicazione Interna di Indesit Company. «Io, portatore di handicap [paraplegico N.d.R.], non sono diverso, ma mi sento tale quando qualcuno mi mette in difficoltà per esempio parcheggiando sugli scivoli dei marciapiedi» [un'intervista completa di Simone Fanti a Giuliano Calza è pubblicata nel blog Disabili: una vita a quattro ruote di «Oggi.it» ed è disponibile cliccando qui, N.d.R.].
La reale diversità nasce dunque quando ci sono impedimenti alla realizzazione di qualcosa. Piccole vittorie e grandi frustrazioni accompagnano la vita di tutti noi, e anche in questo non c'è differenza con chi si considera "normale". Provate a pensare alla rabbia che provereste se un semplice gradino, spesso abbattibile con poche decine di euro, vi impedisse di realizzare un vostro desiderio. Ecco come Annamaria D'Anello, una bella ragazza di 30 anni, racconta con delicatezza questa frustrazione: «Dell’esperienza universitaria [e la laurea in Legge, N.d.R.] conservo bei ricordi fatti di lotte vinte per l'abbattimento delle barriere architettoniche, ma anche di rapporti affettivi nati tra una lezione e l'altra, che durano ancora nonostante siano passati diversi anni. Il vero scontro con la realtà è stato dopo aver conseguito il tanto sospirato titolo di studio, quando ben contenta e soddisfatta del sogno realizzato ho iniziato a cercare lavoro. Ahimè… è stato l'inizio di una serie di no detti e non detti».
«Il vero nodo è la mancata accessibilità dei luoghi esterni allo studio in cui dovevo recarmi per svolgere la pratica», prosegue Annamaria. E poi la diffidenza verso la diversità: i tanti tentativi e concorsi a cui «l'animo ambizioso che mi contraddistingue, mi incitava a partecipare. Sempre con esito negativo. Stesso scenario per i colloqui di lavoro che, già al primo impatto con la carrozzina, facevano sospettare una risposta scontata» [un servizio interamente dedicato da Simone Fanti ad Annamaria Anello è disponibile nel citato blog di «Oggi.it», Disabili: una vita a quattro ruote, disponibile cliccando qui, N.d.R.].

Disabilità e lavoro, un binomio che fatica a decollare. Da una lato le aziende che cercavano candidati, e dall'altro disabili a caccia di una rivincita sociale e personale, ottenibili anche attraverso l'inserimento nel mondo del lavoro. In mezzo agenzie di collocamento tradizionali e gli uffici delle risorse umane non sempre in grado di valutare i candidati o semplicemente di trovarli.
Negli ultimi mesi diverse iniziative e alcuni imprenditori hanno scoperto nel collocamento dei disabili una ragione di vita e uno strumento per fare affari senza tralasciare il lato umano. Perché, come racconta Daniele Regolo, fondatore del sito jobdisabili.it, «per molti la società di collocamento è anche un centro di ascolto. Ricevo, ogni giorno, tanta posta da parte di persone che trovano in me, per via del comune denominatore della disabilità - sono un non udente -, un interlocutore privilegiato al quale affidare confessioni, sfoghi, ma anche speranze» [di Daniele Regolo si legga sia nel citato blog di «Oggi.it», Disabili: una vita a quattro ruote e anche nel nostro sito, cliccando rispettivamente qui e qui, N.d.R.].
Speranze spesso deluse. Le cifre parlano chiaro: il tasso di occupazione delle persone con disabilità è pari al 19,3%, mentre per le persone senza disabilità si aggira intorno al 55,8% (fonte Istat). Al 31 dicembre 2009, ultimo dato disponibile, risultavano iscritte al collocamento obbligatorio 751.258 persone di cui il 49% donne (fonte Isfol-Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, 2010).
Dove si inceppa il meccanismo? «Si insiste - aggiunge Regolo - per un approccio esclusivamente economico al problema: l'azienda che assume può contare su sgravi fiscali. Credo sia necessario, anche, un approccio culturale: l'azienda assume un candidato disabile perché intende investire su di lui».

Sia "iniziative spot" come Diversitalavoro, che sembra aver aperto la strada a un nuovo metodo, ma che resta relegata ai grandi agglomerati urbani [se ne legga nel nostro sito cliccando qui, N.d.R.], sia i siti di consultazione delle offerte di lavoro come Lavoroperdisabili.it o Handimpresa stanno pian piano colmando il gap. Anche perché se è vero che con la crisi le aziende assumono solo potenziali talenti, non è detto che non ce ne siano tra i portatori di handicap.
*Il presente testo, qui riproposto con alcuni minimi riadattamenti al contesto, è stato pubblicato da InVisibili, blog del «Corriere della Sera», con il titolo Nel lavoro (e nella vita) cancelliamo la parola diversità. Viene qui ripreso (immagini comprese) per gentile concessione dell'Autore e del blog.

Tutti i Cittadini Europei possono dire la loro sulla legge per l'accessibilità

dal sito: www.superando.it

È infatti aperta a tutti i Cittadini dell'Unione la consultazione pubblica voluta dalla Commissione Europea, contributo prezioso ai fini dell'elaborazione dell'European Accessibility Act (Legge Europea sull'Accessibilità), che dovrebbe essere presentata nell'autunno prossimo. Un momento di importante partecipazione democratica, dunque, per raggiungere un obiettivo che garantisca alle persone con disabilità l'accesso su un terreno di parità con gli altri all'ambiente fisico, ai trasporti e ai servizi di informazione e comunicazione

Come avevamo riferito nel mese di dicembre scorso (se ne legga cliccando qui), è prevista per l'autunno prossimo - da parte della Commissione Europea, guidata dalla vicepresidente Viviane Reding - la presentazione di una legge continentale sull'accessibilità (European Accessibility Act), per garantire che le persone con disabilità abbiano accesso su un terreno di parità con gli altri all'ambiente fisico, ai trasporti e ai servizi di informazione e comunicazione. Una condizione preliminare, questa, per poter esercitare pienamente i diritti sanciti dalla Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità, dal Trattato dell'Unione Europea e dalla Carta dei Diritti Fondamentali.

La Commissione, per altro, aveva espresso in tempi brevi la volontà di avviare una consultazione pubblica, prezioso, ulteriore contributo per elaborare l'iniziativa.
Ebbene, tale Consultazione è oggi aperta - e lo sarà sino al 29 febbraio prossimo - a tutti i Cittadini, incluse naturalmente le persone con disabilità e quelle anziane, oltreché alle società e alle organizzazioni del settore pubblico e privato, nonché della società civile, di tutti i ventisette Stati Membri dell'Unione e anche di Islanda, Liechtenstein e Norvegia, che pur non facendone parte, compongono l'EFTA (Associazione Europea di Libero Scambio) e l'EEA (Zona Economica Europea).

Un'importante momento di partecipazione democratica, dunque, un'opportunità per usufruire della quale è stato realizzato uno specifico
sito internet (Your Voice in Europe), che segue - quasi ovviamente, verrebbe da dire - gli standard internazionali di accessibilità di internet.
I risultati della Consultazione verranno successivamente resi pubblici, in sede di presentazione della Legge Europea.

Tutti i Cittadini Europei possono dire la loro sulla legge per l'accessibilità

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È infatti aperta a tutti i Cittadini dell'Unione la consultazione pubblica voluta dalla Commissione Europea, contributo prezioso ai fini dell'elaborazione dell'European Accessibility Act (Legge Europea sull'Accessibilità), che dovrebbe essere presentata nell'autunno prossimo. Un momento di importante partecipazione democratica, dunque, per raggiungere un obiettivo che garantisca alle persone con disabilità l'accesso su un terreno di parità con gli altri all'ambiente fisico, ai trasporti e ai servizi di informazione e comunicazione

Come avevamo riferito nel mese di dicembre scorso (se ne legga cliccando qui), è prevista per l'autunno prossimo - da parte della Commissione Europea, guidata dalla vicepresidente Viviane Reding - la presentazione di una legge continentale sull'accessibilità (European Accessibility Act), per garantire che le persone con disabilità abbiano accesso su un terreno di parità con gli altri all'ambiente fisico, ai trasporti e ai servizi di informazione e comunicazione. Una condizione preliminare, questa, per poter esercitare pienamente i diritti sanciti dalla Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità, dal Trattato dell'Unione Europea e dalla Carta dei Diritti Fondamentali.

La Commissione, per altro, aveva espresso in tempi brevi la volontà di avviare una consultazione pubblica, prezioso, ulteriore contributo per elaborare l'iniziativa.
Ebbene, tale Consultazione è oggi aperta - e lo sarà sino al 29 febbraio prossimo - a tutti i Cittadini, incluse naturalmente le persone con disabilità e quelle anziane, oltreché alle società e alle organizzazioni del settore pubblico e privato, nonché della società civile, di tutti i ventisette Stati Membri dell'Unione e anche di Islanda, Liechtenstein e Norvegia, che pur non facendone parte, compongono l'EFTA (Associazione Europea di Libero Scambio) e l'EEA (Zona Economica Europea).

Un'importante momento di partecipazione democratica, dunque, un'opportunità per usufruire della quale è stato realizzato uno specifico sito internet (Your Voice in Europe), che segue - quasi ovviamente, verrebbe da dire - gli standard internazionali di accessibilità di internet.
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Tutti i Cittadini Europei possono dire la loro sulla legge per l'accessibilità

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È infatti aperta a tutti i Cittadini dell'Unione la consultazione pubblica voluta dalla Commissione Europea, contributo prezioso ai fini dell'elaborazione dell'European Accessibility Act (Legge Europea sull'Accessibilità), che dovrebbe essere presentata nell'autunno prossimo. Un momento di importante partecipazione democratica, dunque, per raggiungere un obiettivo che garantisca alle persone con disabilità l'accesso su un terreno di parità con gli altri all'ambiente fisico, ai trasporti e ai servizi di informazione e comunicazione

Come avevamo riferito nel mese di dicembre scorso (se ne legga cliccando qui), è prevista per l'autunno prossimo - da parte della Commissione Europea, guidata dalla vicepresidente Viviane Reding - la presentazione di una legge continentale sull'accessibilità (European Accessibility Act), per garantire che le persone con disabilità abbiano accesso su un terreno di parità con gli altri all'ambiente fisico, ai trasporti e ai servizi di informazione e comunicazione. Una condizione preliminare, questa, per poter esercitare pienamente i diritti sanciti dalla Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità, dal Trattato dell'Unione Europea e dalla Carta dei Diritti Fondamentali.

La Commissione, per altro, aveva espresso in tempi brevi la volontà di avviare una consultazione pubblica, prezioso, ulteriore contributo per elaborare l'iniziativa.
Ebbene, tale Consultazione è oggi aperta - e lo sarà sino al 29 febbraio prossimo - a tutti i Cittadini, incluse naturalmente le persone con disabilità e quelle anziane, oltreché alle società e alle organizzazioni del settore pubblico e privato, nonché della società civile, di tutti i ventisette Stati Membri dell'Unione e anche di Islanda, Liechtenstein e Norvegia, che pur non facendone parte, compongono l'EFTA (Associazione Europea di Libero Scambio) e l'EEA (Zona Economica Europea).

Un'importante momento di partecipazione democratica, dunque, un'opportunità per usufruire della quale è stato realizzato uno specifico
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I risultati della Consultazione verranno successivamente resi pubblici, in sede di presentazione della Legge Europea.

martedì 14 febbraio 2012

I limiti e le novità di quell'indagine Istat sull'integrazione

(a cura di Donatella Morra*)
Emergono criticità, omissioni e incongruenze, ma anche importanti conferme e significative novità, da quell'indagine presentata nei giorni scorsi dall'Istat sull'integrazione degli alunni con disabilità. Il tutto, però, sa dell'ennesima buona occasione sprecata, anche perché - rifacendosi allo stesso motto che sta alla base della Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità ("Nulla su di Noi Senza di Noi) - avrebbe fatto risparmiare energie e denaro pubblico qualche giro di consultazione in più tra le associazioni, per sentire le persone con disabilità, le loro famiglie e le loro organizzazioni, oltre naturalmente agli esperti che si occupano ogni giorno di integrazione. «Fare le domande giuste - conclude infatti Donatella Morra, in questa sua approfondita analisi - serve per dare e darci le risposte giuste, anche in tema di pari opportunità e non discriminazione degli alunni con disabilità»
Ragazzo con disabilità a scuolaIl 12 gennaio scorso l'Istat ha pubblicato la ricerca (visionabile integralmente cliccando qui) intitolata L'integrazione degli alunni con disabilità nelle scuole primarie e secondarie di primo grado statali e non statali, realizzata tra il 26 aprile e il 10 giugno 2011.
Uno studio tutto da analizzare e in tal senso diamo ben volentieri spazio, qui di seguito, alle approfondite riflessioni di Donatella Morra di
LEDHA Scuola (Lega per i Diritti delle Persone con Disabilità).
L'Istat (Istituto Centrale di Statistica) ha pubblicato il 12 gennaio scorso i risultati dell'indagine sull'integrazione scolastica degli alunni con disabilità, effettuata via web dall'Ente tra il 26 aprile e il 10 giugno 2011, attraverso la realizzazione di un questionario elettronico.
La rilevazione - svolta in collaborazione con il Ministero dell'Istruzione, Università e Ricerca e con quello del Lavoro e delle Politiche Sociali - ha riguardato tutte le scuole, pubbliche e private, primarie e secondarie di primo grado e ha ricevuto informazioni esattamente da 22.808 scuole, pari al 90% delle scuole oggetto di indagine.
Le informazioni rilevate sono state (si veda a tal proposito la "Nota informativa" allegata all'indagine) «concordate con entrambi i Ministeri coinvolti e con le Federazioni delle associazioni delle persone con disabilità. In particolare, sono state raccolte le seguenti informazioni: N° alunni iscritti, N° alunni con disabilità/sostegno, N° di insegnanti di sostegno e il N° di insegnanti di sostegno a tempo pieno; Accessibilità (viene indicato se l'edificio è dotato di accorgimenti per il superamento delle barriere architettoniche in conformità al D.P.R. n° 503/96); Postazioni informatiche adattate adibite all'integrazione scolastica (numero, collocazione, appartenenza); Docenti di sostegno che utilizzano le tecnologie educative e che hanno frequentato corsi specifici. Inoltre, sono state rilevate a livello aggregato la tipologia di disabilità degli alunni iscritti e la presenza di figure professionali adibite allo sviluppo dell'integrazione scolastica».
E ancora, sono state raccolte «numerose altre informazioni su un campione di studenti. In particolare sono state rilevate le seguenti informazioni: Tipologia di disabilità, Diagnosi, Presenza di autonomia, Uso di ausili assistivi e di ausili didattici, Tipo di certificazione, Data di nascita, Classe, Ore di sostegno settimanali, Ore settimanali dell'Assistente Educativo Culturale, Orario di frequenze delle lezioni, Presenza di un Comunicatore per sordi, Presenza di un Facilitatore della Comunicazione, Terapia a scuola, Trasporto scolastico, Istruzione domiciliare, Diagnosi funzionale [DF], Profilo dinamico funzionale [PDF], Programma educativo individuale [PEI, che è anche "Piano Educativo Individualizzato", N.d.R.] e la check-list dell'International Classification of functioning, disability and health Children and Youth edition [l'ICF dedicata ai giovani, N.d.R.]».

Criticità
L'impressione che si ricava dall'indagine - avvalorata anche dalla scarsa eco che la pubblicazione di essa ha finora sortito - è quella di una buona occasione poco sfruttata, alla pari dell'inchiesta analoga edita lo scorso anno [visionabile cliccando qui, N.d.R.] e condotta più o meno con la stessa metodologia, sul biennio scolastico 2008-2009 e 2009-2010.
A fronte di aspetti positivi, infatti, ci sono alcuni rilievi critici che come associazioni di persone con disabilità ci sentiamo di sollevare:
1) Innanzitutto i destinatari dell’inchiesta: perché limitarsi ancora, come nella precedente indagine, alle scuole del primo ciclo di studi (primaria e secondaria di primo grado, ovvero le "vecchie" scuole elementari e medie)? Se anche la logica perdurante fosse quella di dare uno spaccato della scuola dell'obbligo, ci si sarebbe aspettato che si tenesse conto del fatto che l'obbligo (dai 6 ai 16 anni) può essere adempiuto dagli alunni con disabilità sino al compimento dei 18 anni (sulla base dell'articolo 14, comma 1 della Legge 104/92) e che la Sentenza 215/87 della Corte Costituzionale ha affermato il diritto pieno e incondizionato di tutti gli alunni con disabilità, anche gravissima, a frequentare le scuole superiori.
In tal senso, nelle tabelle fornite dal Ministero dell'Istruzione (dati SIDI [Sistema Informativo dell'Istruzione, N.d.R.] al 27 ottobre 2011), su 198.672 studenti con disabilità (delle scuole statali, con esclusione della Valle d'Aosta e delle Province Autonome di Trento e Bolzano), 49.942 frequentano le scuole secondarie di secondo grado, ossia circa il 25% degli studenti con disabilità e quasi il 2% degli studenti totali che frequentano le scuole superiori.
Anche gli alunni con disabilità che frequentano la scuola d'infanzia statale delle diciotto Regioni tabulate non sono trascurabili (14.139, pari al 7% circa di tutti gli alunni con disabilità) e sarebbero stati indicativi di un'evoluzione prospettica dello stato dell'integrazione scolastica in Italia.
Positivo invece che, pur non fornendo i dati disaggregati, le recenti statistiche Istat includano nel campione le scuole non statali, in cui sono comprese le paritarie, che includono le scuole pubbliche della Valle d'Aosta e delle Province Autonome di Trento e Bolzano e le non paritarie.
I dati a tutt'oggi forniti dal Ministero e dalle Direzioni Regionali e Provinciali di esso non ne tengono invece quasi mai conto, soprattutto per quel che riguarda l'integrazione degli alunni con disabilità, nonostante le nostre associazioni abbiano più volte denunciato questa grave lacuna.
2) In secondo luogo l'oggetto dell’inchiesta: le informazioni rilevate trascurano alcuni aspetti essenziali per misurare la qualità dell'integrazione.
Nel 2005-2006 l'Invalsi (Istituto Nazionale per la Valutazione del Sistema Educativo di Istruzione e di Formazione) aveva condotto una ricerca ben più "mirata" in tal senso, organizzata logicamente secondo tre chiari gruppi di informazioni e sarebbe stato opportuno che l'Istat ne tenesse conto, pur integrandola alla luce di quesiti più attuali.
Bimba da sola in classe«Nonostante il carattere volontaristico della rilevazione - affermava a suo tempo Salvatore Nocera, vicepresidente della FISH (Federazione Italiana per il Superamento dell'Handicap), commentando lo studio dell'Invalsi [se ne legga nel nostro sito cliccando qui, N.d.R.] il 62% di tutte le scuole hanno risposto. E tuttavia la partecipazione degli istituti di secondo grado è stata esigua e quindi la ricerca riguarda solo le scuole dell'infanzia e del primo ciclo di istruzione che hanno comunque risposto per il 60% circa. Lo studio è stato condotto con metodologia scientifica dagli esperti dell'Invalsi, che hanno predisposto un questionario sulla base delle indicazioni fornite dagli esperti delle associazioni; si può dire, in tal senso, che i risultati siano largamente attendibili. Il questionario si suddivide in tre parti, ciascuna delle quali elenca alcuni descrittori sintomatici della qualità dell'integrazione. Dapprima gli indicatori strutturali, ovvero quei fatti e quelle circostanze che costituiscono le precondizioni per l'integrazione e debbono essere presenti in ogni istituto, come ad esempio il numero di alunni per classe, il numero di docenti specializzati, l'eliminazione di barriere architettoniche e sensopercettive e così via. Poi gli indicatori di processo, cioè le modalità con cui si svolge l'integrazione, come la formulazione del Piano Educativo Individualizzato (PEI) o l'accoglienza degli alunni con disabilità nella classe. Infine gli indicatori di risultato, tramite i quali fornire indicazioni sulle modalità di valutazione dei risultati annuali di integrazione non solo sotto il profilo degli apprendimenti formalizzati, ma anche della crescita nella comunicazione, nella socializzazione e nell'autonomia».
I risultati della ricerca dell'Invalsi - secondo Nocera - evidenziavano tra gli indicatori strutturali la mancanza di taluni presupposti fondamentali per la qualità dell'integrazione: eccessivo affollamento delle classi; inadeguata preparazione specifica dei docenti curricolari e dei dirigenti scolastici, soprattutto nelle scuole non statali; ritardi nelle nomine e discontinuità degli insegnanti di sostegno (definita come «una sorta di "cancro" che rode da dentro la qualità stessa dell'integrazione, poiché autodistrugge quello che annualmente si riesce a realizzare»); una carente assistenza educativa e generica di base; insufficienti stanziamenti nel bilancio delle scuole autonome per ausili e sussidi didattici; la presenza ancora consistente di barriere architettoniche (assenza di bagni per disabili, ascensori e servoscala ecc.).
Anche tra gli indicatori di processo pesavano negativamente sulla qualità dell'integrazione l'inesistenza in molte istituzioni scolastiche dei Gruppi di Lavoro per l'Handicap collegiali, la scarsa tempestività e la mancanza di indicazioni significative con cui da parte dei sanitari viene formulata la Diagnosi Funzionale, necessaria per l'attivazione delle risorse umane e materiali per l'integrazione, e la mancanza di coralità nella stesura del PEI, per lo più affidato al solo insegnante di sostegno.
Segnali allarmanti provenivano anche dalle risposte date nei questionari relative agli indicatori di risultato, alla valutazione degli alunni disabili, all'autovalutazione da parte delle scuole della qualità realizzata e delle risorse umane e strumentali messe in campo, mentre più positiva, da parte dei docenti intervistati, era stata la percezione di cambiamenti nella didattica conseguenti all'integrazione.

Omissioni
Secondo Nocera, invece, l'inchiesta Istat dello scorso anno - e a nostro parere nemmeno la presente indagine, nonostante il numero maggiore di informazioni raccolte rispetto agli anni precedenti - appare in grado di far emergere, a differenza dell'indagine Invalsi, il livello di qualità (o meno) dell'integrazione scolastica nella scuola italiana. Nelle inchieste Istat, infatti, vi sono notevoli omissioni, essendo stati totalmente ignorati quesiti che le nostre associazioni ritengono "marcatori" essenziali per far emergere da un lato buone prassi, dall'altro mancanze e debolezze del percorso di inclusione dell'alunno con disabilità in Italia. Il tutto a più riprese evidenziato - soprattutto dalle associazioni federate nella FISH - su cui sarebbe stato utile avere un riscontro in termini quantitativi.
Con riferimento agli indicatori di tipo strutturale mancano infatti quesiti su:
- numero degli alunni disabili per classe, di cui con certificazione di gravità/complessità;
- numero totale degli alunni della classe in cui sono inseriti alunni disabili;
- numero dei docenti specializzati, non solo tra gli insegnanti di sostegno, ma anche tra i docenti curricolari e i dirigenti delle scuole;
- numero dei docenti (di sostegno ma anche curricolari) che hanno seguito corsi di formazione in didattica speciale, oltre che sull'uso delle nuove tecnologie per la didattica.
Tra gli indicatori di processo manca poi qualsiasi rilevazione su:
- regolarità di convocazione dei Gruppi di Lavoro di Istituto (GLHI e GLHO);
- tempestività di stesura e completezza di informazioni nella Diagnosi Funzionale da parte degli operatori sanitari;
- compilazione collegiale da parte di tutto il GLHO dei documenti di programmazione (Profilo Dinamico Funzionale-Piano Educativo Individualizzato);
- coinvolgimento delle famiglie e degli assistenti educatori e di base nella progettazione del percorso educativo-didattico, di autonomia e socializzazione;
- modalità di accoglienza-inserimento dei nuovi alunni con disabilità;
- orientamento verso il percorso scolastico successivo all'ordine di scuola frequentato dall'alunno.
Ragazzo con disabilità insieme a compagno di classeSono poi totalmente tralasciati gli indicatori di risultato sulle modalità di valutazione degli alunni con disabilità e sull'autovalutazione da parte delle scuole dei risultati raggiunti nell'integrazione e non sono nemmeno stati restituiti i dati - per altro interessanti -, forniti nella precedente inchiesta Istat, sulla disponibilità di collaboratori scolastici per l'assistenza di base, di comunicatori per sordi e facilitatori della comunicazione, nonché sull'utilizzo da parte dell'alunno con disabilità del trasporto fornito dal Comune, da altro Ente Locale o da terzi.

Incongruenze
Nella recente inchiesta pubblicata dall'Istat vi sono inoltre delle incongruenze, tra cui, anche quest'anno, l'inclusione - che le norme vigenti sulla certificazione non ammettono - degli alunni con DSA (disturbi specifici di apprendimento) tra gli alunni con disabilità (si veda in tal senso il Prospetto 2, che suddivide gli alunni con disabilità per tipologia di problema), il che giustifica l'eccessivo numero di alunni con disabilità senza certificazione nella scuola primaria (13,5%) e nella scuola secondaria di primo grado (15,9%), all'interno della tabella (Prospetto 3) sulle tipologie di certificazione (disabilità/invalidità).
Abbastanza inspiegabile è pure il grande divario tra gli alunni non autonomi nel Sud rispetto al Centro e al Nord (Prospetto 2): non è dato sapere, in tal senso, se la prevalenza di non autonomi in tutte le tre attività al Sud nella scuola primaria (10%) e nella secondaria di primo grado (6,9%), rispetto alle medie nazionali di 8,1% e 5,5%, corrisponda a un'effettiva maggiore presenza nel Meridione di disabilità complesse o - come sostiene Nocera - a una maggiore larghezza nella certificazione di grave disabilità.
E ancora, non brillano per trasparenza neppure i valori assoluti degli alunni con disabilità e degli insegnanti di sostegno del primo ciclo nelle scuole statali e non statali forniti all'Istat dal Ministero, non presentati in modalità disaggregata per scuole statali e non statali: complessivamente 78.000 alunni con disabilità (pari al 2,8% del totale degli alunni) nella scuola primaria e poco più di 61.000  in quella secondaria di primo grado (3,4% del totale), per un totale di 139.000 alunni con disabilità; dall'altra parte, poco più di 63.000 insegnanti di sostegno, con un rapporto medio nazionale di 1,83 alunni con disabilità per docente di sostegno nella scuole primaria e di 1,94 in quella secondaria.
Sembrerebbero per altro troppi gli alunni e quasi inesistenti gli insegnanti di sostegno delle scuole non statali, sottraendo ai suddetti totali i dati forniti dal Ministero sulle scuole statali di diciotto Regioni (dati SIDI dell'ottobre 2010: 127.510 alunni con disabilità e 63.241 Insegnanti di sostegno nel primo ciclo).

Conferme e novitàNon mancano tuttavia nell’indagine importanti conferme e significative novità. Come nelle sue precedenti inchieste, l'Istat aggrega i dati di ogni rilevazione per ripartizione geografica (Nord-Centro-Mezzogiorno) e ordine scolastico (scuola primaria-scuola secondaria di primo grado), consentendone un'agevole lettura.
Ad esempio, il confronto tra il Grafico 3 (numero medio di alunni con disabilità per insegnante di sostegno), il Grafico 5 (numero medio di ore settimanali di sostegno per alunno) e il Prospetto 5 (numero medio di ore settimanali di assistente educativo culturale - AEC - o assistente ad personam per alunno, a seconda del grado di autonomia), ci permette da un lato di rilevare differenze territoriali molto marcate (in media più ore di sostegno per alunno al Sud: 14,1 nelle primarie e 11,4 nelle secondarie di primo grado, a fronte di 11,3 e 8,9 al Nord e 10,9 e 9 al Centro), dall'altro di farcene una ragione: al Sud, cioè, si farebbe un "uso improprio" dell'insegnante di sostegno, attribuendo a tale figura  le funzioni dell'assistente ad personam che gli Enti Locali competenti, per le ristrettezze di bilancio, non forniscono in misura necessaria alle oggettive esigenze degli alunni con disabilità, soprattutto quelli con autonomie scarse o nulle.

Bimba in carrozzina insieme a compagne di scuolaTra le conferme, dunque, possiamo elencare le informazioni su:
- la costante crescita percentuale degli alunni con disabilità sul totale degli alunni, passata dall'anno scolastico 2000-2001 all'anno scolastico 2010-2011 nella primaria dal 2,0% al 2,8%, nella secondaria di primo grado dal 2,5% al 3,4% (Grafico 1);
- la netta prevalenza del sesso maschile tra gli alunni con disabilità (più del 60% in entrambi gli ordini scolastici) (Grafico 2);
- l'elevata età media degli alunni con disabilità (9,7 anni nella scuola primaria, 13,7 nella scuola secondaria di primo grado, per via di una percentuale marcata di ripetenze: l'11% degli alunni con disabilità ha nella scuola primaria più di 11 anni e il 20% nella scuola secondaria di primo grado ha più di 14 anni);
- l'elevata presenza di non autonomie nelle tre attività fondamentali (mangiare, andare in bagno, spostarsi): il 21,4% degli alunni con disabilità nella primaria e il 14,9% non è autonomo in almeno una delle tre attività e rispettivamente l'8,1% e il 5,5% non è autonomo in alcuna delle tre attività (con significative differenze territoriali poco spiegabili, come si è già detto più sopra) (Prospetto 1);
- tipologie di problema più frequenti: ritardo mentale; disturbi del linguaggio; disturbi specifici di apprendimento (per questi si confronti anche sopra); disturbi dell'attenzione; disturbi affettivo-relazionali; disturbi generalizzati dello sviluppo, con differenze poco marcate nei due ordini di scuole. Non viene reso noto, invece, a differenza che nell'indagine Istat del 2011, se tali problematiche siano singole o associate (Prospetto 2);
- tipologie di certificazione: l'84,5% degli alunni della scuola primaria e l'82,1% della secondaria di primo grado ha la certificazione di disabilità, mentre rispettivamente il 13,5% (percentuale addirittura superiore rispetto all'11,8% dell’anno precedente) e il 15,9% non ha alcuna certificazione (trattandosi presumibilmente di disturbi specifici di apprendimento, che l'Istat - come detto - colloca impropriamente tra le disabilità). Hanno invece sia la certificazione di disabilità che quella di invalidità il 14,8% degli alunni con disabilità della primaria e il 12,4% di quelli della secondaria di primo grado (Prospetto 3);
- numero medio di alunni disabili per insegnante di sostegno: il Grafico 3 e la Tabella in calce all'indagine confermano che il numero medio si avvicina molto al tetto previsto, come soglia insuperabile, dalla Legge 244/07, di un insegnante di sostegno ogni due alunni con disabilità. All'indomani della Sentenza 80/10 della Corte Costituzionale, che ha giudicato illegittimi tale tetto e il blocco delle deroghe per gli alunni in situazione di gravità, questo rimane comunque un rapporto tendenziale: dal 2,0 sia nella scuola primaria che in quella secondaria di primo grado dell'anno 2008-2009 (si veda l'indagine Istat dello scorso anno), si passa infatti nel 2010-2011 all'1,83 della scuola primaria e all'1,94 della secondaria di primo grado. Ma le differenze territoriali sono molto marcate: si va da Bolzano, con 3,5 alunni con disabilità per insegnante di sostegno nella primaria e 4,2 nella secondaria di primo grado, al Molise, in cui vi è il rapporto in assoluto più favorevole in Italia di 1,4 alunni ogni insegnante di sostegno nella primaria e 1,6 nella secondaria di primo grado. Un forte divario, compensato - come si è visto - dalla maggiore presenza di assistenti ad personam al Centro e al Nord (soprattutto a Bolzano, dove l'assistente educativo è nominato dalla Provincia Autonoma e dove, a causa del bilinguismo, vi è un maggior numero di insegnanti curricolari);
- numero medio di ore settimanali di sostegno per alunno: come si è visto, più ore al Sud, meno ore al Nord e al Centro (Grafico 5);
- numero medio di ore settimanali di assistente ad personam a seconda del grado di autonomia dell'alunno con disabilità (Prospetto 5), da cui emerge uno "svantaggio" considerevole del Mezzogiorno d'Italia, a cui mancherebbe la presenza di figure professionali a supporto della socializzazione e dell'autonomia del singolo alunno: infatti, a fianco degli allievi più gravi - non autonomi in tutte e tre le attività fondamentali (mangiare, andare in bagno, spostarsi) -, nelle scuole primarie del Nord l'assistente educativo è disponibile per una media di 10 ore settimanali, al Centro per 14,3 ore e al Sud solo per 7,6 ore; nella scuola secondaria di primo grado la situazione va dalle 10,6 ore del Nord alle 7,2 ore del Centro e alle 4,0 ore del Sud;
- tipo e presenza della documentazione (Prospetto 6), prevista dalla legge per la programmazione e la realizzazione del percorso educativo individualizzato: nella tabella sono riportate le percentuali degli alunni con disabilità che dispongono della Diagnosi Funzionale (DF), del Profilo Dinamico Funzionale (PDF) e del Piano Educativo Individualizzato (PEI). Nella scuola primaria il 5,1% e in quella secondaria di primo grado il 4,3% degli alunni con disabilità, non dispone ancora della DF, documento indispensabile, come pure il PDF, per la lettura dei bisogni e la personalizzazione del Piano Educativo. Dati, questi, che sono migliori di quelli emersi dalla citata ricerca Invalsi 2005-2006, in cui addirittura l'8% delle scuole statali e il 14% di quelle paritarie dichiarava di non possedere agli atti tale documento, ma peggiori dei dati emersi lo scorso anno nella ricerca Istat sul biennio 2008-2010, che presentava valori del 4,4% e del 3,8%.
Va peggio ancora per il PDF, di cui risulta privo il 13,6% degli alunni della primaria e l'11,2 della scuola secondaria di primo grado; almeno va meglio per il PEI, di cui è privo il 2,5% degli alunni con disabilità della primaria e l'1,3% della secondaria di primo grado;
- barriere architettoniche: nel Prospetto 9 si indaga sulla presenza di "caratteristiche a norma" negli edifici scolastici (scale, servizi igienici, percorsi interni e percorsi esterni di accesso agli edifici). Dalla tabella emerge come sia ancora il Meridione ad avere la percentuale più bassa di scuole con scale e servizi igienici accessibili, mentre le differenze territoriali diminuiscono quando si passa a valutare i percorsi interni ed esterni. Dal 38,1% delle scuole statali e dal 26,6% di quelle paritarie, che nell'indagine dell'Invalsi avevano dichiarato di non avere nel 2005-2006 bagni accessibili, si è passati al 24% del 2010-2011, mentre il 18,8% non ha scale accessibili (per l'assenza di servoscala, scivoli o ascensori);
- presenza di postazioni informatiche adattate, adibite all'integrazione scolastica: molto spazio viene conferito da parte dell'Istat, nella presente indagine, come in quella dello scorso anno, alle nuove tecnologie e in particolare all'hardware e al software adattato (Grafico 6), al numero di insegnanti di sostegno che utilizzano la tecnologia per la didattica speciale (Grafico 7) e che hanno frequentato corsi specifici in materia di tecnologie educative (Grafico 8).
Bimba con disabilità insieme a insegnante di sostegnoQui dai grafici emerge che ancora più di un quarto delle scuole primarie e secondarie di primo grado non hanno postazioni informatiche dedicate. Le scuole meno dotate per entrambi gli ordini sono quelle della Valle d'Aosta, mentre le più dotate sono quelle dell'Emilia Romagna.
Le postazioni informatiche adibite all'inclusione scolastica sono collocate prevalentemente in laboratori (per una percentuale del 49,3% nelle scuole primarie e del 43,4% nelle scuole secondarie di primo grado). A distinguersi nelle scuole primarie è la Provincia Autonoma di Bolzano, dove nel 34,3% delle scuole le postazioni adattate sono in classe; nella scuola secondaria di primo grado, invece, le percentuali maggiori di postazioni nella classe dell'alunno - in controtendenza rispetto alla situazione generale - si riscontrano nella Provincia Autonoma di Trento (54,8%) e in Puglia (45,1% delle scuole).
Ancora la Valle d'Aosta, seguita dalla Calabria e dalla Campania, è la Regione dove vi è la percentuale più alta di insegnanti delle scuole primarie che non utilizzano le nuove tecnologie per la didattica, mentre nelle scuole secondarie di primo grado le più arretrate sono sempre la Valle d'Aosta e la Calabria.
Molto elevata su tutto il territorio nazionale (circa un terzo in entrambi gli ordini scolastici) è infine la percentuale di scuole in cui nessun insegnante di sostegno ha frequentato corsi specifici per le tecnologie educative, mentre un altro terzo di scuole ha tutto il personale di sostegno formato con corsi specifici.

Le novità più rilevanti dell'indagine - che non per nulla sono quelle a cui la stampa ha dato maggiore enfasi - sono le informazioni su:
- alunni con disabilità, in riferimento alla presentazione di un ricorso da parte delle famiglie per ottenere un aumento delle ore di sostegno (Prospetto 4), da cui emergono dati - a nostro parere tutti da convalidare -, secondo cui avrebbe fatto ricorso al TAR [Tribunale Amministrativo Regionale, N.d.R.] quasi il 10% delle famiglie intervistate (9,6% nelle scuole primarie e 9,4% nella secondaria di primo grado, con punte al Meridione del 13,1% e del 12,5%, il doppio rispetto al Nord, per il quale si parla di 6,2% e 6,5%);
- insegnanti di sostegno che svolgono attività a tempo pieno nello stesso plesso scolastico (Grafico 4), da cui emerge che sono titolari nella stessa scuola di un orario cattedra - e quindi più stabili e disponibili -, gli insegnanti di scuola primaria della Valle d'Aosta e di scuola secondaria di primo grado della Campania, mentre le percentuali più basse si riscontrano per entrambi gli ordini di scuola nella Provincia di Bolzano;
- frequenza di incontri tra famiglia e insegnanti curricolari (Prospetto 7). Qui è Interessante e segnala senz'altro un maggior coinvolgimento di tutti i docenti nel processo di integrazione, il fatto che gli incontri più "informali" - al di fuori, cioè, di quelli di Istituto dei Gruppi di Lavoro sull'Handicap - siano più frequenti nelle scuole del Sud, dove il 68,7% delle famiglie di alunni con disabilità delle primarie si incontra con gli insegnanti curricolari da una a più volte al mese, contro il 43,8% del Centro e il 41,6% del Nord. Discorso analogo nella scuola secondaria di primo grado, dove il 53,1% delle famiglie del Mezzogiorno si incontra almeno una volta con gli insegnanti curricolari del figlio, contro il 40,2% del Centro e il 30,4% del Nord;
- frequenza di incontri tra famiglia e insegnanti di sostegno (Prospetto 8). Decisamente più frequenti sono gli incontri delle famiglie con gli insegnanti di sostegno, che per il 35,3% dei casi hanno luogo, in entrambi gli ordini di scuola, più volte al mese, con differenze territoriali (nelle primarie del Sud l'80,3% delle famiglie ha almeno un colloquio mensile con l'insegnante di sostegno al di fuori del Gruppo di Lavoro sull'Handicap Operativo e nella secondaria di primo grado il 79,4%, percentuale che scende nelle primarie e secondarie del Nord e del Centro, rispettivamente al 52,8% e 54,9% e al 51% e 59,7%);
- numero medio di ore settimanali passate in classe e fuori classe, in rapporto al livello di autonomia (Prospetto 10): a nostro parere, le risposte date a tale quesito meriterebbero una convalida da parte di osservatori esterni, dal momento che le ore passate in classe da alunni con disabilità totalmente non autonomi (in media 21,3 ore nelle primarie e 23,1 nelle secondarie di primo grado) e fuori classe (rispettivamente 7,0 e 10,1), con un maggior numero di ore al Nord (10,6 e 14,3) e un minor numero al Sud (4,0 e 7,2), sembrano eccessivamente "ottimistiche";
- partecipazione alle attività extrascolastiche (Prospetto 11): resta molto difficile la partecipazione degli alunni con disabilità alle attività extrascolastiche (in media solo il 50,5% vi partecipa); peggio ancora la partecipazione ai campi scuola (Prospetto 12), che vede un'adesione solo del 15,8% degli alunni con disabilità.

In calce all'indagine di quest'anno, l'Istat ha collocato infine un Glossario che appare abbastanza corretto ed esauriente, se si esclude l'impropria definizione iniziale degli alunni con disabilità come «alunni iscritti nella scuola che usufruiscono dell'insegnante di sostegno», a rafforzare, semmai ce ne fosse ulteriore bisogno, il pregiudizio dell'inscindibilità del binomio alunno con disabilità-insegnante di sostegno, che tanto danno ha fatto e che continuerà a fare, a spese della vera inclusione dell'alunno con disabilità, non solo nel sentire comune, ma purtroppo anche tra gli addetti ai lavori.

Conclusioni
Per concludere, ci sembra che se le indagini statistiche servono per inquadrare oggettivamente i fenomeni, individuandone caratteristiche positive e negative per numerosità e frequenza spazio-temporale, ma anche per ingenerare positivi cambiamenti, è sempre oltremodo importante coinvolgere maggiormente chi le tematiche affrontate le vive di persona o se ne occupa per professione.
In questo caso - per ripetere il motto stesso della Convenzione ONU del 2006 sui Diritti delle Persone con Disabilità, Nulla su di Noi Senza di Noi -, sarebbe stato meglio e avrebbe fatto sprecare meno energie e denaro pubblico, fare qualche giro di consultazione in più tra le nostre associazioni, per sentire le persone con disabilità, le loro famiglie e le loro organizzazioni, oltre naturalmente agli esperti (pedagogisti, docenti, educatori) che si occupano ogni giorno di integrazione. Fare le domande giuste, infatti, serve per dare e darci le risposte giuste, anche in tema di pari opportunità e non discriminazione dell’alunno con disabilità.